Fu poco dopo Vernazza, quando la spiaggia di Monterosso, sovrastata dai binari della ferrovia, appariva sempre più vicina, che Ernesto si staccò dalla barca prendendo quota. – Era ora! – sbuffò Rino sollevato, ma cantò vittoria troppo presto. Il gabbiano planò dopo poche decine di metri, in un punto roccioso sotto un’alta falesia, e sbattendo le ali iniziò a guardare il ragazzo con insistenza, quasi a invitarlo a raggiungerlo. Rino non riusciva a crederci. – Ci manca solo che parli e… altro che Harry Potter! Almeno lui aveva una civetta come amica, io un gabbiano ammattito!
Nonostante tutto, anche questa volta il piccolo uomo di mare non poté fare a meno di assecondare Ernesto o, forse, il proprio istinto. Remò nella direzione del gabbiano, ci mise poco a raggiungerlo e, quando fu di fronte a quel frenetico sbatter d’ali, si fermò. L’uccello placò il movimento e ricompose la sua figura fino a tornare immobile. Quello che fece poco dopo, cambiò per sempre la vita di Rino.